315 mine

Ieri l’esercito israeliano ha distrutto con 315 mine il campus dell’università di Al-Israa a Gaza – era l’ultima delle sette università della Striscia a restare ancora in piedi. Nel campus dell’università c’era anche un museo che conteneva tremila artefatti rari.

Fino ad ottobre c’erano sette università. Adesso non ce n’è più nessuna.

Al-Israa era stata occupata settanta giorni fa dalle forze israeliane che l’avevano trasformata in un centro di detenzione: vi tenevano in isolamento i civili palestinesi che avevano arrestato prima di interrogarli. L’esercito israeliano ha diffuso il video della detonazione: neanche una manciata di secondi per ridurre in polvere ed eliminare ogni traccia fisica di un’istituzione culturale.

Mentre scrivo arriva anche la notizia della distruzione completa dell’ultimo ospedale funzionante di Gaza.

Fino ad ottobre ce n’erano trentasei. Adesso non ce n’è più nessuno.

È una lista di orrori che sembra essere senza fine.

Le notizie della guerra arrivano a casa come fatti compiuti. Quello di cui siamo testimoni nel quotidiano è il risultato, l’esito: un certo numero di morti; un certo numero di profughi; il successo o il fallimento di una certa operazione militare; le retate; gli arresti; il numero di case, villaggi, scuole, ospedali distrutti.

Quello che in genere non è completamente visibile nella narrazione giornalistica è l’estrema complessità della logistica che sta dietro a queste operazioni.

Continuo a pensare a quelle 315 mine che hanno distrutto Al-Israa – sono tantissime. Tantissime.

Per distruggere un complesso edilizio con 315 mine ci vuole un coordinamento perfetto di forze, mezzi e risorse, ma soprattutto di intenzioni e volontà.

Osservare la logistica della guerra con la sua apparente banalità di catene di comando, meccanizzazioni e gesti in sé “innocenti,” è il modo più terribile di guardare negli occhi la crudeltà.

Oltre alla decisione politica, ci vuole tanta gente che passi tanto tempo a capire e decidere come si distrugge un’università o quanti bulldozers servono per radere al suolo un villaggio o di quanti soldati si ha bisogno per una retata in piena notte.

Per me il più grande orrore della guerra è qui. Nella mente, nella quotidianità, nella routine di tutti coloro che creano le condizioni per distruggere, infliggere morte e desolazione.

L’esito devastante di cui siamo testimoni è il prodotto di un milione di piccoli gesti, di infinite micro-complicità. È per questo che non ha senso parlare di danni collaterali o di errore involontario – non è uno sconto che si può fare a chi è fautore di tanto orrore.

La guerra non è mai necessaria e invece sempre deliberatamente crudele.