Unknown's avatar

La resa dei conti

È più di un mese che cerco le parole.

Il monito di Audre Lorde sulla tirannia del silenzio ha continuato a risuonarmi nelle orecchie mentre facevo i conti per tutti questi giorni con l’incapacità di articolare la rabbia e lo sconforto, con lo smarrimento e l’incredulità rispetto al punto di non ritorno che l’umanità ha raggiunto in questo mese.

Niente potrà mai essere come prima. Spero che l’orrore di queste settimane ci rimanga addosso come l’onta di vergogna di un marchio a fuoco e ci impedisca di dimenticare e ci costringa a decidere chi vogliamo essere, da che parte vogliamo stare, cosa vogliamo insegnare ai nostri figli, come troviamo il coraggio di guardarci allo specchio la mattina.

Niente potrà mai essere come prima. Certe immagini – il loro significato, il loro dolore, le loro conseguenze – non dovranno mai più cancellarsi né dalla memoria individuale né da quella ancestrale che l’umanità tramanda per generazioni.

Un papà raccoglie nelle buste di plastica della spazzatura i resti dei figli uccisi dalle bombe. I bambini prematuri muoiono perché hanno distrutto le infrastrutture degli ospedali e le incubatrici non hanno più di cosa essere alimentate. Le urla dei sopravvissuti sotto le macerie. La puzza delle fosse comuni.

Cosa significa per una madre scrivere il nome sul corpo di un figlio perché così può essere un morto identificabile o un superstite rintracciabile e non un anonimo computo in una statistica? Dove trova quella mano la forza per scrivere quel nome?

Scrivo e mi sale la nausea.

Siamo a un punto di non ritorno. Siamo alla resa dei conti con noi stessi e con chi ci sta intorno. Chi non prende posizione è complice. Non ci sono silenziosi osservatori innocenti.

Stringiamoci a chi trova il coraggio di resistere. Ritroviamoci. Sosteniamoci come comunità. Mettiamoci in ascolto del disagio, della paura, dell’angoscia di chi ci sta vicino. In questo momento di non ritorno, è chiaro chi resta nella nostra vita e chi no – o si sta da una parte o dall’altra. L’indifferenza è una scelta ed è una scelta criminale.

La solidarietà ha un prezzo, costa fatica e corre rischi. Celebriamo il coraggio di chi sceglie di correre questi rischi – non perdiamo l’occasione di una parola di sostegno, in mezzo a tanto orrore la gentilezza può ancora aiutare a costruire piccoli ponti e può far sì che ci sentiamo meno soli e meno abbandonati al declino dell’umanità. 

Leggevo da qualche parte che la resistenza è la più grande forma d’amore. Allora resistiamo insieme, come scelta suprema di riscatto. Sosteniamoci a vicenda nella rivendicazione del diritto all’autodeterminazione.

L’obiettivo non è il cessate il fuoco. L’obiettivo è la fine dell’occupazione, degli abusi, di monopolio della condizione di vittime in nome del quale Israele sta commettendo atrocità abominevoli.

L’obiettivo è che con la liberazione della Palestina arriviamo collettivamente alla liberazione del senso di umanità che per ora è sepolto sotto le macerie degli ospedali di Gaza.

Unknown's avatar

Come si ricorda?

Come si fa a far sì che lo sconforto per la perdita di una persona cara non ci tolga il sorriso che ha caratterizzato i momenti passati insieme?

Come si ricorda? Come si onora la memoria di chi ha dedicato la vita a raccontare storie difficili da ascoltare? E come si dimentica anche solo un po’ per poter sopravvivere? Come si sospende l’urgenza di capire così da rispettare le scelte inesplicabili di un’amica?

Non ci sentivamo da un po’, ma era prona a lunghi silenzi – capitava ogni volta che scriveva. Siamo sparpagliati e connessi, sei mesi passano senza accorgerci – solo per poi renderci conto che ormai è troppo tardi.

Annie ha vissuto abbracciando il mondo, con un abbraccio tanto affettuoso e aperto che il mondo a volte finiva per soffocarla. Ascoltava – senza condizioni e senza pre-giudizio. Raccoglieva con empatia storie che lasciano inevitabilmente segni profondi. Sentiva il peso delle parole di cui le era stato fatto dono.

C’è un signore, forse un po’ matto, in un quartiere malfamato di Karachi che vive in un cimitero con un muro pieno di graffiti. Voleva che scrivessimo insieme la sua storia. Dovrò presto andare a cercarlo.

E portare con me il suo desiderio di far sì che ci sia sempre uno spazio onesto e generoso per le voci inascoltate.

Annie Ali Khan (1980-2018). In memoriam.