Fare Speranza

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All’Istituto stiamo attraversando un periodo di trasformazione. Prima di poter cominciare a costruire bisogna fare pulizia e fare i conti con la frustrazione che nasce dalla banalità dei compiti quotidiani, senza perdere di vista la prospettiva di lungo periodo. La risposta al cambiamento è spesso la paura e la diffidenza nei confronti di chi, per volere o per forza, propone alternative.

Parlavo ieri col mio collega, la vera colonna portante dell’Istituto, di questa fase complicata, di quello che stiamo facendo, di quello che ci aspetta e del fatto che dobbiamo rimanere concentrati sulla visione che stiamo cercando di realizzare. E’ un uomo serio, il mio collega; una persona di poche parole. Le discussioni con lui si concentrano sull’essenziale, senza pettegolezzi, senza fronzoli e senza alcun margine di autocompiacimento.

Il problema di questo paese – mi ha detto – è che nessuno guarda al futuro, la gente non ha neanche la sicurezza che esista un futuro. Quindi siamo tutti attaccati al presente, a cercare di ricavarne il massimo, per noi stessi, per il nostro interesse personale, senza alzare gli occhi e guardare al bene comune.

Io ho ribattuto che questo rappresenta un ostacolo non da poco per chi cerca di costruire un percorso educativo che lavora sul presente in funzione del futuro.

E’ questione di cattive abitudini – ha continuato. Ci si accontenta di quello che si ha adesso, ci si arrocca su quel poco di privilegi accumulati e ci si chiude nei confronti di chi li mette in questione.

E quindi noi qui che ci stiamo a fare? Gli ho chiesto un po’ scoraggiata.

E lui impassibile, prima di rimettersi a lavorare, mi ha risposto: Siamo qui a fare speranza.

E’ da ieri che non smetto di pensarci. Queste due parole – fare speranza – mi hanno completamente cambiato il modo di guardare alle cose. Ho sempre pensato alla speranza come ad una dimensione dell’anima e del cuore; un sentimento bello, una fonte di ottimismo, che corre il rischio di trasformarsi in un atteggiamento passivo di attesa per il meglio che verrà. Il peso della responsabilità del fare speranza a tratti mi toglie il respiro, ma così, almeno, so di essere nel mio: che ci si riesca o no, è un’altra storia, ma almeno ci si può provare – almeno c’è di che sporcarsi le mani.

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